AcquaMat nelle
Scuole e nelle Università
Che cos'è un bene comune?
Può essere definito bene comune quel bene o
servizio gestito in ottica di efficienza equità ed economicità, magari da un
ente di diritto pubblico condito da una buona dose di partecipazione
democratica delle comunità?
Senza dubbio tutti questi fattori sono fondamentali per
la nostra azione politica vertenziale, senza questi obiettivi non vi sarebbe
sviluppo della personalità collettiva di un gruppo, che giustamente vede in
queste istanze una forte attrattiva di mobilitazione e un'espressione della
volontà popolare, che su questi temi si è espresso positivamente in maggioranza
assoluta.
La riflessione però dovrebbe portarci a riflettere su
come noi vogliamo coniugare il concetto di bene comune. Perché, seppur vero che
gli enti pubblici sono strumenti interessanti e la partecipazione è
fondamentale, tutta la struttura rischia di implodere se non vi è una base
culturale forte e propositiva, che non può che nascere dalle scuole e dalle
università, dai “templi del sapere”, ma soprattutto in cui il movimento ha
dimostrato come la critica al sapere si riferisce anche allo stato attuale
delle cose.
Non da meno è impossibile pensare all'acqua come bene
comune se non nasce da una prospettiva diversa dall'uso di una risorsa tanto
importante, e quanto sia necessario contrastare l'utilizzo di acqua in
bottiglia, simbolo della privatizzazione de facto delle risorse idriche
a favore del commercio, ma soprattutto dell'imponente impatto ambientale che
l'utilizzo di plastica PET comporta.
Tutte queste considerazioni ci portano a pensare che
una soluzione concreta per arginare lo stra-potere delle multinazionali che
speculano sull'acqua e per diminuire sensibilmente l'utilizzo di bottigliette
di plastica (spesso non riciclate!) risulta essere l'installazione di un
erogatore di acqua sfusa.
Ecco alcuni passaggi fondamentali per la realizzazione
di tale progettualità:
1. prendere i contatti con le varie
associazioni ambientali presenti sul territorio, di modo da elaborare tutto la
campagna e la proposta politica, contagiandosi a vicenda, individuando in
seguito il partner industriale che più si accosta alla proposta;
2. elaborare un progetto da presentare
alla scuola o all'università ponendo l'accento, sempre grazie all'aiuto
dell'organizzazione partner, sugli enti che hanno già aderito al progetto (per
l'unico esempio attualmente realizzato presso l'Università di Torino l'ente in
questione è stato, primo tra tutti, l'ente regionale per il diritto allo
studio);
3. portare il progetto agli uffici
amministrativi e la divisione logistica dell'università, per iniziare la
sperimentazione dello stesso in una sede specifica;
4. riprendere il progetto, incalzando
sulla sperimentazione già in atto, per esportarlo a tutte le sedi universitarie.
Ovviamente, l'estensione del progetto necessita di
un'approvazione da parte degli organi centrali/decisionali, che risulterà
positiva se si riesce a ribadire il pressoché impercettibile onere per i
bilanci dell'università e delle scuole.
E' possibile lavorare sugli organi decentrati delle
sedi, in particolare i consigli di gestione degli edifici, perché facciano
richiesta di installazione dell'erogatore.
Tale operazione rischia di non portare a una copertura
totale del progetto, per cui i tempi risulterebbero più lunghi del previsto,
senza comunque avere una prospettiva unitaria.
Inoltre fondamentale è una campagna di informazione
reticolare, per cui i costi non possono gravare sulle organizzazioni partner,
per questioni anche politiche, e sull'azienda partner, il cui compito non è
quella di dare una linea politica ed ecologica, ma di garantire gli strumenti
tecnologici adeguati alla buona riuscita della campagna; la stessa va però
concertata tra il nodo locale della Rete della conoscenza e l'organizzazione
ecologista partner.

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